Victoria Fontana (New York 1972)

Posted by on May 29, 2010 in Press | No Comments


Victoria Fontana (New York 1972) 

Review by immaginare.ch for art news and communications.

Qual’è la contraddizione più palese di cui siamo capaci?
Dove si rompe l’equilibrio tra la tollerabilità e il pregiudizio?
Su queste tematiche si esprime Victoria Fontana, artista americana contemporanea attualmente impegnata tra New York e la Spagna dove vive da qualche anno.
I suoi lavori pittorici affrontano una polivalenza di temi e sfaccettature: oltre alla formazione artistica, la laurea in filologia, pedagogia e lingue sono per lei una valida fonte di analisi delle più comuni forme di comunicazione verbale, didattica e interculturale, che trasferisce sulle tele. Ritroviamo infatti una fondamentale attenzione ai linguaggi, ai comportamenti umani, ai luoghi comuni, di noi stessi e della società, siano essi palesi o latenti.

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Nella serie Human si affiancano appunto la contraddizione e il paradosso: il tema è la tortura volontaria soprattutto femminile nella società contemporanea che l’artista ci propone come una pura esposizione di fatti del tutto estranea a considerazioni politiche/religiose sue personali.

Siamo tutti capaci di muovere critiche feroci e moraliste verso realtà di cui abbiamo solo una conoscenza superficiale filtrata dalla comunicazione mediatica con contestazioni fin troppo facili e del tutto sterili.

L’opinione pubblica spesso si scaglia contro alcune pratiche estetico religiose di culture come quella africana, araba e asiatica dove, sempre secondo il punto di vista occidentale, la decorazione e la deformazione del corpo, l’indossare determinati costumi, sono da condiderarsi vere e proprie forme di tortura fisica e psicologica.

Ma il burka ad esempio può essere una scelta di protezione o di comodità.

La stessa opinione pubblica però non è abbastanza obiettiva da considerare in primis le molteplici ed autorizzate forme di tortura e deformazione volontaria che si verificano giornalmente all’interno dei propri confini, come la chirurgia estetica estrema, sia maschile e femminile, fenomeno in preoccupante crescita dove avviene un processo del tutto innaturale per l’uomo: il desiderio di essere più belli più giovani e sempre perfetti è più forte della nostra naturale e istintiva paura del dolore.

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The figures – A lone moment (da solo/un solo momento) è una serie di lavori dal carattere più intimistico, dove Victoria pone l’attenzione sul contrasto tra solitudine e socializzazione: esiste un momento, anche solo uno, dove ognuno di noi è lasciato solo con sé stesso e a sé stesso. Questa potrebbe essere un’esperienza necessaria di esplorazione interiore oppure un bilancio della propria identità. Ma sempre passando attraverso il processo catartico della riflessione perchè solo la comprensione di noi stessi, anche parziale, può essere poi il metro per poter relazionarsi consapevolmente con la realtà esterna. Esiste poi il delicato processo della socializzazione, dove i nostri equilibri interiori sono in continuo adattamento, confronto e collisione con quelli degli altri.

I lavori più recenti hanno come traccia il linguaggio, un raro uso plastico di questo mezzo come texture, trama di consistenza non solo di parole ma di interazione corporea.

Oltre alle cose che si comunicano a voce, esistono anche le cose che non si dicono, paradigmi che si impongono nella società per tradizioni familiari, credenze collettive ma che sono perfettamente tangibili ed esistenti tanto che a volte suggeriscono una profonda incoerenza tra il linguaggio verbale e non verbale.

Le parole, i concetti, le sfumature prendono quindi fisicamente il loro posto sulla tela, portando nelle trame la molteplicità del linguaggio.

Tutta l’arte è un linguaggio, se c’è il rumore in un quadro anche il quadro si ascolta.

Dipingere un fiore può essere un’azione anche molto pesante.

L’artista è colui che crea una interazione e la traduzione degli elementi, di quello che vive del mondo. Il ruolo dell’artista quello di creare, in questo senso Victoria non si sente responsabile di cambiare le persone attraverso il suo lavoro, si considera una espositrice non mediatica e la responsabilità che sente in quanto artista è la sola che deve avere ovvero quella della coerenza verso sé stessa e i propri criteri.

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L’arte moderna ad oggi è un’espressione utile concettualmente, ma non utile fisicamente. Esiste sempre un doppio senso di un quadro: quello che voleva comunicare l’artista e quello che le persone recepiscono e vivono. Guardare un quadro, oltre all’azione fisica, significa anche scoprire una parte dell’essere umano che si identifica nelle immagini perchè accade qualcosa in noi stessi che si considera in qualche modo familiare.

Portare le persone ad un rapporto attivo ed una nuova fruizione di un opera è uno dei messaggi più importanti del linguaggio di Victoria Fontana.

A cura di S. Venturelli

 

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